“L’interpretazione dell’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. e’ nel senso che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente previsti, siano stati, anche per comportamenti di fatto, eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli in discorso, i quali, pertanto, non possono più ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma divengono esatti adempimenti; l’onore della prova di tale situazione è, ai sensi dell’art. 2697 c.c., in capo all’accipiens.”. (Cass. n. 27939 del 2020)
Con tale pronuncia la Suprema Corte ha ulteriormente precisato l’ambito dell’esenzione da revocatoria fallimentare di cui godono i pagamenti effettuati nell’esercizio di impresa nei termini d’uso. In particolare viene ribadito che per individuare i termini d’uso deve farsi riferimento alla prassi invalsa fra i contraenti precisando che essa può prevalere sugli accordi contrattualizzati “tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore – adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale –volta a derogare a quella clausola contrattuale ed introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento nei termini diversi e più lunghi. Non basterebbe, pertanto, che alcuni pagamenti fossero compiuti ed accettati in un lasso temporale maggiore: oggetto di prova è la circostanza di un “uso” diverso tra le parti, quale condotta reiterata sul piano oggettivo, stabilizzatasi già prima dei pagamenti sospetti.”. (dalla motivazione della Sentenza sopra citata).
In estrema sintesi quindi per individuare i termini d’uso occorre fare riferimento ai pregressi rapporti fra le parti, anziché alle condizioni pattuite, unicamente se essi hanno dato luogo ad una “consolidata e stabile” modifica di tali condizioni.