In una recente Sentenza la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire il suo orientamento in materia di giudizi di opposizione allo stato passivo affermando che “l’opponente, a pena di decadenza ex art. 99, comma 2, n. 4, legge fall., deve soltanto indicare i documenti, di cui intende avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato, sicché’ in difetto della produzione di uno di essi, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura fallimentare ove esso è custodito (vf. Cass. n.12549 del 2017). La mancata produzione del provvedimento del giudice delegato contestualmente all’atto di opposizione non costituisce causa di improcedibilità del procedimento, non trovando applicazione l’art. 339 c.p.c. al giudizio di cui all’art. 98 legge fall., atteso che il decreto con cui il giudice delegato, ai sensi dell’art. 96, comma 4, legge fall., forma lo stato passivo e lo rende esecutivo entra a far parte del fascicolo della procedura e rimane acquisito nella sfera conoscitiva dell’autorità giudiziaria preposta al procedimento. Pertanto, non occorre che chi impugna il decreto di formazione dello stato passivo produca necessariamente tale provvedimento nel corso del giudizio, poiché il tribunale può accedere direttamente al fascicolo della procedura per conoscere il contenuto della statuizione che l’impugnazione intende censurare” (vd. Cass. n. 23138 del 2020).
Come detto tale principio è tutt’altro che nuovo, anzi può dirsi consolidato nella giurisprudenza di legittimità, nonostante ciò nei giudizi di merito capita ancora che la mancata produzione del provvedimento impugnato, e/o dei documenti già allegati in sede di verifica del passivo, sia causa di eccezioni che qualche volta vengono addirittura accolte (come nel caso oggetto della Sentenza sopra riportata) e ciò a causa dell’errata assimilazione di tali giudizi a quelli di appello.